È un racconto fantastico, veramente fantastico, quello messo in piedi dal pedagogo inglese Edwin Abbott Abbott (1838-1926) nello sfavillante anno del Signore 1882. Abbott immagina un mondo a due dimensioni, Flatlandia (Paese del Piano), dal quale il protagonista, un onesto e curioso quadrato, esegue voli pindarici in altri mondi, dimostrando ogni volta come sia difficile immaginarli e quasi impossibile spiegarli. Pointlandia (Paese del Punto), adimensionale, è abitata da un solo cittadino, egli stesso monarca, per il quale nulla è fuori di sé. A Linelandia (Paese della Linea) vivono individui a forma di linea, che su linee si muovono ed amano. Ma al di sopra della Flatlandia c’è Spacelandia (Paese dello Spazio), dove sfere e cubi arroganti e permalosi, dall’alto delle tre dimensioni, credono il loro mondo essere l’universo più perfetto. È a questo punto che il nostro quadrato ipotizza, sulla base di legittime analogie, l’esistenza di una quarta dimensione, ipotesi foriera di elucubrazioni scientifiche e fantascientifiche, e che comunque porterà davvero alle ricerche einsteiniane nel campo della relatività e dello spazio-tempo. "Flatlandia" è un libro aritmetico e meraviglioso, istruttivo per i ragazzi, avvincente per gli adulti, mitologico per i matematici, una di quelle gemme rare e preziose che solo Adelphi poteva ricacciare dall’oblio dell’Ottocento, al pari del suo autore, questo Edwin A. Abbott che in vita si occupò perlopiù di pedagogia e teologia. "Flatlandia" può d'altronde essere interpretato come una critica all’epoca vittoriana, tesa al raggiungimento dell’equità, nel superamento delle divisioni di genere e di ceto, proprio come intese fare il suo illustre predecessore "Erewhon" (1872) del grande Samuel Butler (1835-1902); può inoltre essere un invito alla trascendenza, a partire dal refrain «verso l'Alto, non verso il Nord», formula utilizzata dal quadrato per tentare di spiegare l'esistenza di altri mondi, superiori e inintelligibili. D'altronde, nel mondo erewhoniano c'è il sovvertimento totale di ogni valore o categoria morale: ciò che è storpio è colpevole, l'irragionevole è logico, ma la colpa è virtù, dunque quel che è il premio ne diventa la pena. Il mondo ritratto da Butler - che può rassomigliare ai panorami de "Lo Hobbit" (1937; Adelphi, 1973) di J.R.R. Tolkien (1892-1973) - non è sospeso in un sogno, come la Flatlandia, bensì si fa luogo concreto, ipotizzabile, quasi auspicabile, se pensiamo al rigore della società vittoriana del tempo, come già anticipato incline a restaurare tanto il principio d'autorità del clero quanto l'importanza di ordine sociale di distinguere il popolo dall'aristocrazia.
Edwin A. Abbott (1966), Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni, trad. di M. D’Amico, Adelphi, Milano, pp. 166
Samuel Butler (1975), Erewhon, trad. di L. Drudi Demby, Adelphi, Milano, pp. 237
Samuel Butler (1975), Erewhon, trad. di L. Drudi Demby, Adelphi, Milano, pp. 237
Nessun commento:
Posta un commento