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venerdì 3 luglio 2015

"L'impronta dell'editore" e "Cento lettere a uno sconosciuto"


Aldo Manuzio (1449-1515) è stato un umanista italiano, il primo vero editore della nostra penisola. Per i suoi tipi - oggi roba da collezionisti e intenditori - sono usciti, a partire dal 1494, diverse opere di Tucidide, Aristofane, Erodoto, Platone, Aristotele, Sofocle ed Euripide, perfettamente in linea con lo Zeitgeist umanistico, teso a riscoprire i gioielli della drammaturgia, della letteratura e della filosofia precristiane. Ma c’è una pubblicazione su tutte che sembra stonare e che invece segna il passo della tipografia Manuzio: la "Hypnerotomachia Poliphili" (1499), romanzo allegorico scritto forse da un certo Francesco Colonna. È questo il libro che fa letteralmente impazzire Roberto Calasso (1941), oggi direttore editoriale di Adelphi dopo un’epica gavetta al fianco di Bobi Bazlen (1902-1965). Il nostro critico/scrittore/editore è convinto che una casa editrice, per definirsi tale, non deve limitarsi a pubblicare libri, fiutando il talento degli scrittori o sui consigli di qualche avveduto agente letterario, bensì ha l’onere di creare una forma, unica e irripetibile, una configurazione che sia qualcosa di consustanziale col contenuto dell’opera. Più che una ideologia, una religione. Calasso, ne "L’impronta dell’editore", parla delle origini di Adelphi - la sua Chiesa - e di come questa abbia cercato di sollevare dai fanghi della storia la letteratura germanofona di fine Ottocento, tutto il mondo onirico e surreale di certi sconosciuti prosatori, testi più o meno sacri delle religioni del mondo e altri autori che lo Zeitgeist presessantottino etichettava, senza mezzi termini, come fascisti o, nel migliore dei casi, borghesi: Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Ernst Jünger, Konrad Lorenz, Curzio Malaparte; è sempre Adelphi che ha tradotto e pubblicato in Italia Georges Simenon, Joseph Roth, Irène Némirovsky, J.R.R. Tolkien, Mordecai Richler o Emmanuel Carrère. Un’altra scelta operata da Calasso, tesa a far collimare estetica e sostanza, è quella del risvolto - un’arte vera e propria -, nel quale l’editore affronta i nodi del libro che si appresta a presentare al pubblico come avulsi dal libro stesso: non a caso i temi adelphiani sono sempre coessenziali alla realtà. Calasso ne ha dunque selezionati un centinaio per le sue "Cento lettere a uno sconosciuto". Le sfide del futuro sono tante per chi guida un’azienda del genere ma il libro, al pari del disco, non perderà la sua materia; non sentiremo mai la mancanza dei libri, semplicemente perché mai spariranno. E una parte del merito dovremo riconoscerla ad Adelphi.

Roberto Calasso (2013), L’impronta dell’editore, Adelphi, Milano, pp. 164
Roberto Calasso (2003), Cento lettere a uno sconosciuto, Adelphi, Milano, pp. 236


martedì 31 marzo 2015

"Tre sentieri per il lago"


Cinque racconti, cinque donne, cinque inadeguatezze. Le donne descritte dalla validissima Ingeborg Bachmann (1926-1973), musa ispiratrice di Roberto Calasso (1941), sono tutte creature impaurite dalla vita, operanti in una cornice europea che tocca Vienna, Londra, Parigi e l’Italia, patrie d’elezione della stessa autrice. C’è Nadja, una traduttrice per cui il mondo sta nella simultanea trasformazione delle parole e, laddove questa si fa difficile, altrettanto ardua si fa la sua vita sentimentale; c’è la frivola e pelandrona Beatrix, che vive di orpelli estetici, la cui vita superficiale sfocerà in uno psicodramma; poi c’è Miranda, quasi cieca, che vede svanire il suo grande amore per rintanarsi nell’estrema miopia, fuga dalla vita in piena regola; c’è la vecchia signora Jordan, mamma sola e abbandonata dal figlio psichiatra, che riceve gli ossequi di Franziska, ennesima nuora, ma vive in un immotivato terrore del figlio; infine c’è Elisabeth, giornalista e fotografa, la più battagliera tra le figure femminili, che in un lungo stream of consciousness rammenta la sua vita fatta di ideali, stante lo sradicamento irrisolto da Clanforte, città natale della stessa Bachmann, che dunque fa supporre la perfetta collimazione tra personaggio fittizio e autore reale. Ingeborg Bachmann utilizza registri stilistici diversi per dipanare questi cinque microcosmi, alternando una gran prosa alla narrazione secca, giungendo persino alla poesia ermetica. "Tre sentieri per il lago" (1972) è un libro informale, nell’accezione avanguardistica del termine, poiché descrive un’umanità che non è più possibile descrivere con gli strumenti utilizzati in precedenza: le maggiori preoccupazioni dell’uomo occidentale del dopoguerra sono diventate postmaterialistiche, ovvero non attengono più alla sopravvivenza e all’istinto ma, innanzitutto, alla difficoltà di relazionarsi col mondo circostante. La paura, in questa fetta di mondo, in questo universo parallelo, appare davvero il sentimento più diffuso e incontrastabile.

Ingeborg Bachmann (1986), Tre sentieri per il lago e altri racconti, trad. di A. Pandolfi, Adelphi, Milano, pp. 233