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venerdì 18 dicembre 2015

"Saggio su Pan" e "La pentola dell'oro"


Il dio Pan, più di tutti i suoi colleghi, rappresenta appieno la sostituzione di senso, contenuto e venerazione operata dal cristianesimo sulle divinità pagane, greche o romane. Pan è caos, sovvertimento, anarchia, panico. Ciò è vero soltanto per quest’epoca; non è detto che lo sia stato anche ad Atene o Roma. James Hillman (1926-2011), forse lo studioso che meglio ha disvelato la figura di Fauno, nel suo "Saggio su Pan" (1972) ha praticamente condotto una vera e propria psicoanalisi sulla mente del dio, dimostrando molte delle maliziose inesattezze che tuttora lo riguardano. Del pari, James Stephens (1880-1950) prese la figura di Pan e la inserì in un contesto sgarbatamente onirico che univa diverse e lontanissime tradizioni, dalla favolistica irlandese alla religione greca. Ne "La pentola dell’oro" (1912) il dio è bello e magnetico, defloratore e gentiluomo, in una struttura narrativa che pare attingere dal James Joyce (1882-1941) più recondito. Letti in successione, questi due libri, entrambi difficoltosi, offrono comunque una panoramica su colui che, da simbolo della mascolinità, – o meglio della masturbazione, da intendere come l’onorevole pratica dell’onanismo – si è tramutato in corruttore, traviatore, distruttore dell’ordine mondiale e della teoria della passività e infelicità cristiane.

James Hillman (1977), Saggio su Pan, trad. di A. Giuliani, Adelphi, Milano, pp. 137
James Stephens (1969), La pentola dell’oro, trad. di A. Motti, Adelphi, Milano, pp. 231