giovedì 29 ottobre 2015

"L'album perduto"


La figura del principe Charles Maurice de Talleyrand-Périgord (1754-1838) è passata alla storia per l’estremo trasformismo che ancor oggi incarna. Camaleontico ed opportunista, il vescovo parigino è sopravvissuto - più che sopravvissuto, ha supervisionato - le tre epoche più importanti di Francia: l’Ancien Régime, la Rivoluzione e la Restaurazione. Talleyrand è stato il protagonista occulto di una delle pagine più importanti della storia europea e, a dimostrarlo, c’è questo libello scritto dal poligrafo Henri de Lautoche (1785-1851), il quale raccolse moltissimi aneddoti e aforismi del principe strutturandoli a mo’ di romanzetto storico. Da "L’album perduto" (1829) vorrei trarre una sola citazione che forse può ben spiegare tanto l’intento letterario di Latouche quanto il carattere dissacrante di Talleyrand. Si riferisce al periodo della Restaurazione, dopo che molte teste erano state tagliate - dai rivoluzionari prima e dai reazionari poi -, allorquando il re Luigi XVIII di Borbone (1755-1824) chiese al politico di corte come avesse fatto a passare indenne il terribile periodo 1789-1814 e a restare praticamente sulla cresta dell’onda. Talleyrand, semplicemente, rispose: «Non ho fatto proprio niente; c’è in me qualcosa di inspiegabile che porta disgrazia ai governi che non mi apprezzano». Da questa massima si evince come l’opportunismo, senza unabbondante dose di intelligenza, sia mera ipocrisia. Il camaleontismo di Talleyrand rappresenta invece il più bel completamento politico del machiavellismo: entrambe queste correnti concorrono a creare il perfetto statista, padre della patria e amministratore dello stato a un tempo. Provate voi a verificare chi son stati i superstiti di qualsivoglia stravolgimento politico: troverete perlopiù volpi e lupi, assai più raramente veri uomini di governo. E proprio tra quei pochi si nasconde lo statista.

Henri de Latouche (1998), L’album perduto, a cura di F. Dupuigrenet Desroussilles, trad. di G. Cillario, Adelphi, Milano, pp. 175

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