venerdì 9 ottobre 2015

"Aurora"


Vorrei dire la mia a proposito della tradizione, intesa come la summa degli usi e costumi rilevanti che impongono un obbligo, il cui mancato rispetto provoca scandalo o perlomeno mugugni presso la maggioranza. È chiaro che una tradizione va definita cronologicamente, geograficamente, etnicamente e culturalmente: penso dunque all’Italia e agli italiani di oggi, ma soprattutto penso all’uso - o moda - di dare un nome alla prole. Mi spiego meglio. È risaputo che in Italia, soprattutto al Sud, vige la tradizione di dare il nome del nonno paterno al primo maschio che viene al mondo, una tradizione che oggi si sta perdendo a favore di una maggiore libertà dei genitori sul nome da dare ai propri figli. Ma se la tradizione dimostra di essere inefficiente su questo punto - poiché il nome del nonno potrebbe risultar sgradito ai genitori od anche al figlio stesso -, un nome scelto in piena libertà dai genitori corre lo stesso rischio, almeno nei confronti del bimbo una volta che sarà cresciuto. Quindi da questo punto di vista non c’è stato alcun miglioramento sull’aver tradito la tradizione. La moda ha certamente liberato i genitori dall’obbligo di nomare il primo figlio in un certo modo, ma li ha anche caricati della responsabilità di sceglierne uno migliore, perlomeno un nome di cui il figlio non dovrà vergognarsi in futuro. Qui volevo portarvi. Al fatto che la tradizione - da molti genitori modernisti etichettata come vecchia, sorpassata, ingiusta, bigotta - in realtà ci scarica dalle responsabilità. Quando Friedrich Nietzsche (1844-1900), in "Aurora" (1881), afferma che «la tradizione [è] un’autorità superiore, alla quale si presta obbedienza non perché comanda quel che ci è utile, ma soltanto perché ce lo comanda», non sta parlando a noi maggioranza, ma ai suoi simili, ai sovrauomini, o a chi è in procinto di esserlo. La nostra passività alla tradizione, dunque, è obbligatoria, e deve fungere da tuta mimetica, proprio come la mimicry delle scienze naturali. Nietzsche aggiunge più tardi che «si esige l’autosuperamento non a causa delle utili conseguenze che esso ha per l’individuo, bensì affinché il costume, la tradizione, appaiano imperanti, nonostante ogni opposta velleità e utilità individuali: il singolo deve sacrificarsi, questo esige l’eticità del costume». Se è vero che il filosofo tedesco rifiuta in blocco la tradizione, auspicandone il suo superamento, è altrettanto vero che il suo tentativo risulta sterile allorché si riferisce alla maggioranza degli uomini. Solo l’élite può permettersi questo salto nel vuoto nell’assenza di tradizione, di costume, di storia. La società odierna, che in questa assenza annaspa, ha perduto dunque il rispetto della tradizione - proprio quella famosa perdita di valori di cui tanto si parla a vanvera. Ritornando alla tradizione sul nome da dare alla prole, appare ora con maggior chiarezza come il mancato rispetto della tradizione implichi un maggior carico di responsabilità sui genitori, incapaci di portarla poiché appartenenti alla maggioranza. Ci si limiti quindi a rispettare l’eticità del costume, dando al primo figlio il nome del nonno, e ai successivi, magari, i nomi di santi cristiani, preferibilmente i santi celebrati nel giorno della nascita. La tradizione è un aiuto incommensurabile qui come in tutte le sfere del vivere quotidiano. Chi si considera moderno non comprenderà l’importanza della questione: poco male.

Friedrich Nietzsche (1978), Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, trad. di F. Masini, Adelphi, Milano, pp. 283

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