martedì 6 ottobre 2015

"Tragico tascabile"


Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare a Bolzano del monumento alla Vittoria, un complesso trionfale edificato dal regime fascista tra il 1926 e il 1928 per glorificare la vittoria italiana sugli austriaci nella Grande Guerra. Progettato dall’insigne razionalista Marcello Piacentini (1881-1960), il complesso marmoreo sorge al posto del precedente monumento ai Kaiserjäger (costruito dagli austriaci nel 1917) proprio per rivendicare l’italianità (sostanzialmente artificiale ma formalmente piena) del luogo. In Alto Adige la discussione vede tre correnti di pensiero: alcuni vogliono lasciarlo intatto perché architettonicamente valido ed esteticamente bello, altri vogliono abbatterlo perché ricorda l’italianizzazione coatta che il regime mussoliniano impose agli altoatesini, infine altri ancora consigliano di bonificarlo, ovvero di limitarsi a rimuovere quelle parti che più offendono la cultura e la tradizione dei bolzanesi. Nello specifico, la frase incriminata è: «Hic patriæ fines. Sista signa. Hinc ceteros excoluimus lingua legibus artibus» (Qui sono i confini della patria. Pianta le insegne. Da qui educammo tutti gli altri alla lingua, al diritto e alle arti). Trovo infantile la bagarre politica venutasi a creare attorno a questo monumento che, seppur offende in qualche modo il carattere sudtirolese di questi italiani di confine, è stata sinora portata avanti da personalità di scarso spessore culturale e artistico. Un’opera d’arte, seppur di epoca totalitaria, non merita alcuna demolizione né tantomeno un restauro migliorativo che ne rinneghi il senso intimo. Nel 2015 la società italiana è abbastanza matura per apprezzare il monumento alla Vittoria di Bolzano per quello che è, un meraviglioso ma effimero altare alla potenza fascista da contestualizzare in un periodo di regimi totalitari, dei quali la nostra Costituzione non sente alcuna nostalgia. Nel corso della storia, tanti sono stati gli smantellamenti, gli abbattimenti e le razzie a monumenti di epoche precedenti ritenuti offensivi, fuori corso, addirittura sacrileghi. Pensiamo al Colosseo, depredato dei suoi rivestimenti marmorei dai papi perché ritenuto simbolo del paganesimo romano e del martirio cristiano, e arrivato a noi in uno stato di assoluta indecenza estetica. Ma se non ci fosse stata un’attenzione al bello universale Roma non avrebbe invece goduto del Pantheon, nato per venerare gli dèi e poi consacrato a chiesa cristiana, fino a diventare mausoleo dei Savoia. Ma anche nel caso del Pantheon, quando si studiano i restauri a cui fu sottoposto per purgarlo del politeismo dei gentili, viene naturale chiedersi se anche l’epoca odierna non sia innegabilmente destinata al tramonto per darne alla luce una diversa. Nei tanti e illuminanti articoletti contenuti in "Tragico tascabile" di Guido Ceronetti (1927) ve n’è uno riguardante proprio il Siegesdenkmal, nel quale l’intellettuale torinese auspica che lo Stato italiano abbatta al più presto l’Arco di Piacentini. Adoro Ceronetti ma questa sua presa di posizione - di cui comprendo appieno il senso poiché non può esservi alcuna vittoria dove c’è sofferenza e tragedia - risulta totalmente fuori luogo, specialmente in un periodo in cui dei figli di puttana senza Dio né patria (l’ISIS) fanno letteralmente saltare in aria opere architettoniche preziosissime per la storia di noi tutti (Palmira). Evitiamo allora il patetismo di considerarci i definitivi abitanti di questi luoghi, cominciando col lasciare in pace il monumento alla Vittoria di Bolzano.

Guido Ceronetti (2015), Tragico tascabile, Adelphi, Milano, pp. 215

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