giovedì 5 febbraio 2015

"Il fattore della verità"


Un libro come "Il fattore della verità" (1975) di Jacques Derrida (1930-2004), tanto complesso perché specialistico, dà luogo a riflessioni le più disparate. Lo scritto dell’intellettuale francese è una dettagliata analisi filosofica dell’altrettanto minuziosa critica psicoanalitica mossa da Jacques Lacan (1901-1981) a "La lettera rubata" (1845) di Edgar Allan Poe (1809-1849), ed entrambi gli studi cercano di ampliare la visione freudiana. Nel libro di Derrida vi sono però due temi importantissimi e non troppo scontati: il concetto della phonè all’esterno della parola e il concetto di fallo all’interno della sessualità femminile. Tralasciando la prima, cui andrebbe dedicato un intero trattato, ci occuperemo solo del secondo. Il fallogocentrismo, sostiene Derrida, trae la propria linfa dal fatto che il pene è il desiderio della madre/donna in quanto essa non lo possiede. Il fallo è dunque l’organo che simboleggia in primo luogo un pene materno. Questo dà vita all’androcentrismo, in cui la donna rappresenta l’altro e, al pari di Sigmund Freud (1856-1939), v’è qui una sola libido, di natura ovviamente maschile. Nel testo c’è poi un’interessante digressione di Marie Bonaparte (1882-1962), amica e allieva di Freud, su come la lettera che pende al di sopra del camino rappresenti, nel racconto di Poe, il pene femminile - che non c’è e che anzi è ridotto a clitoride - che pende sulla cloaca della donna, sul buco, la vagina. Tutti coloro che si sono interessati allo scritto di Poe ne hanno quindi fornito una lettura fortemente sessualista. Se l’interpretazione della Bonaparte è puerilmente edipica e quella di Freud coinvolge il concetto di castrazione femminile trasferibile nel bambino, è quella di Lacan e Derrida a spingersi negli anfratti più ancestrali della sessualità femminile risolvendo l’enigma con la logica del paiolo («Quando ti ho reso il paiolo era intatto. E poi quando me l’hai prestato era già bucato. E poi non mi hai mai prestato un paiolo…»), ovvero con l’intelletto, dato che «la ragione avrà sempre ragione. Di (per) sé. Essa si intende. La cosa parla di (per) sé. Essa si intende dire ciò che non può intendere». In realtà, per comprendere appieno "Il fattore della verità" è necessario leggere anticipatamente "La lettera rubata": scovare il senso recondito della missiva trafugata, intuirne contenuto e mittente, comprendere l’importanza del suo ritrovamento e della relativa restituzione al legittimo destinatario, quindi trasmutare la situazione contingente in un pensiero culturalmente più articolato per poterne apprezzare gli svicolamenti intellettuali effettuati nel corso del tempo. Quello di Jacques Derrida resta un libro pregno di significa(n)ti, un’opera che si pone non troppo umilmente come case study psicoanalitico.

Jacques Derrida (1978), Il fattore della verità, trad. di F. Zambon, Adelphi, Milano, pp. 177

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