lunedì 23 febbraio 2015

"Classici americani"


Nei suoi "Classici americani" (1923), titolo tradotto con vena ancor più sarcastica dall’originale "The symbolic meaning. Studies in classic American literature", l’inglesissimo David Herbert Lawrence (1885-1930) fa a pezzi tutta la letteratura americana del suo tempo, accusandola, al pari di ogni buon intenditore di arti, d’essere superficiale. Tutti i più grandi, da Edgar Allan Poe (1809-1849) a Herman Melville (1819-1891), Fenimore Cooper (1789-1851), Benjamin Franklin (1706-1790), Nathaniel Hawthorne (1804-1864) e Walt Whitman (1819-1892), appaiono qui foschi e mediocri, scribacchini incapaci di approfondire il materiale umano che andavano descrivendo. Tra gli undici saggi critici presentati da Lawrence, è quello su "Due anni a prora" (1840) di Richard Henry Dana (1815-1882) ad avermi condotto in osmosi col pensiero lawrenciano. In questa cronaca nautica v’è un episodio, banale quanto significativo, in cui tre personaggi interagiscono tra loro sulla base di rapporti fisici e ideali, comunque gerarchici, con un quarto, l’autore stesso, che resta a guardare la scena. Sam è un marinaio pigro e piuttosto indolente che, per via della sua sciatteria, viene fustigato dal capitano, nervoso a causa di una tempesta in corso. Dana, guardando la scena sanguinolenta, rabbrividisce, e, impotente, non può far altro che vomitare in mare. Arriva un altro marinaio, John, che si fa paladino di Sam chiedendo a gran voce il perché di quelle frustate. Il capitano, senza pensarci due volte, fustiga anch’egli. Lo spietato D.H. Lawrence ammette che finché il capitano frusta il pelandrone Sam, personaggio fisico, i rapporti di forza sono in equilibrio ed anzi scorre una qualche energia vitale tra i due, tanto che Sam, dopo tanta cieca violenza, si desta dal torpore e sembra in egli riattivarsi l’intelletto. Lawrence sostiene d’altronde che Dana, incapace di muovere un dito di fronte alla brutalità, abbia delegato a John, personaggio ideale, il ruolo dell’eroe o, peggio, del salvatore. Lo sguardo remissivo di Sam nei confronti di John e quello complice di John nei confronti di Sam, rappresentano la bugia insita nell’idealismo: non c’è possibilità di salvazione poiché esso è «confusione e sentimenti falsi». In questo come in tutti gli scritti di Lawrence è rinvenibile una certa aristocrazia di pensiero, quell’approccio elitario e nichilista ad un tempo teso ad abbattere ogni trionfalismo, ogni eroismo, ogni scintilla di vita umana.

D.H. Lawrence (2009), Classici americani, a cura di P. Dilonardo, Adelphi, Milano, pp. 256

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