mercoledì 11 febbraio 2015

"Ombre sull'erba"


Questo è un libro che, se pubblicato oggi, provocherebbe biasimo, sdegno, finanche scandalo. Un’europea in Africa - emblema del colonialismo - con uno stuolo di servitori e il pallino per la caccia grossa. In realtà quello di Karen Blixen (1885-1962) è un accalorato atto d’amore al vecchissimo continente, una terra in cui la scrittrice e pittrice danese ha vissuto per molti anni, fedelmente servita dal nero Farah, gentleman somalo musulmano. In Africa la Blixen ha avuto modo di vedere l’arroganza di alcuni europei dalle tasche gonfie così come l’inutilità della caccia slegata dalla necessità di procacciarsi il cibo. Ma soprattutto ha conosciuto un continente superbo, abitato da tribù orgogliose e credulone, eppur piene di quella dignità che ha consentito loro di approcciarsi al bianco senza perdere la propria identità. L’europeo è ricco, miscredente e conosce la medicina; l’africano è povero, pio e superstizioso: tra questi due tipi umani può correre diffidenza, paura, finanche odio. In "Ombre sull’erba" (1961), invece, Karen Blixen, che rappresenta la gelida tramontana del mondo boreale, entra via via in osmosi con l’ardente scirocco del mezzogiorno, rappresentato dal suo servitore Farah. Due anime e due popoli qui collaborano, si confidano, s’imbeccano, si aiutano a vicenda, ed ogni differenza sembra sparire come il sole in un tramonto africano.

Karen Blixen (1985), Ombre sull’erba, trad. di S. Gariglio, Adelphi, Milano, pp. 118

Nessun commento:

Posta un commento