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mercoledì 16 settembre 2015

"Il Regno"


È un dato di fatto che gli islamisti oramai uccidono anche in Europa. Si organizzano, fanno proseliti e attentano alle libertà occidentali. Al di là della perdita di vite e del modo in cui vengono strappate, quello che più infastidisce, dopo i massacri del Charlie Hebdo, è l’assenza di intellettuali, in questa radura spirituale che è diventata l’Europa, in grado di fornire letture appropriate dell’epoca che stiamo vivendo. Oggi, grazie alla rinnovata forza dei mezzi di comunicazione, siamo tutti solidali con le vittime e severi con i carnefici, ma non andiamo oltre la presa di coscienza, o di posizione. Manca totalmente in Francia, come in Germania, in Italia e nel Regno Unito, una classe di filosofi, sociologi e statisti capace di spiegarci questa deriva 2.0 che ha portato l’Islam più radicale allo scontro con l’occidente. E di spiegare perché ci stia riuscendo tanto bene. Sostituire l’analisi sociologica con la vana pietà, la speculazione filosofica con lo shock da salotto, è un errore in cui cadiamo tutti. Ma è un errore a cui devono sottrarsi gli intellettuali, sui quali grava la responsabilità di prevedere il corso degli eventi e di consigliare e fornire soluzioni alla classe dirigente. L’assenza di questi ha fatto sì che il problema dell’islamismo in Europa si tramutasse in sciovinismo. I partiti xenofobi abbondano in tutto il continente e i pochi cervelli rimasti parteggiano per due fazioni opposte: da un lato si comincia ad entrare nell’ottica di una certa rigidità verso l’immigrazione, dall’altro si continua a vagheggiare una sterile autocritica su come le politiche d’integrazione si siano rivelate inefficaci. Non essendo un intellettuale, posso azzardare un’ipotesi su tutte, che parte da un’analisi esterno/interno. Dal punto di vista esterno, ovvero per quanto riguarda l’influenza esercitata da culture diverse dalla nostra, individuo nel fenomeno della ibridazione - con speciale riferimento ai paesi del cosiddetto terzo mondo - la principale causa di quello stravolgimento di valori che sta portando l’occidente a rivedere le sue conquiste in fatto di libertà e diritti. I paesi musulmani, giunti con estremo ritardo nella modernità, hanno dovuto frettolosamente adeguarsi ai sistemi imperanti (nuove tecnologie, globalizzazione, economia di mercato ecc.) col risultato di aver digerito male l’intero processo. Un tempo si sarebbe parlato di riflusso, oggi si può chiaramente parlare di indigestione. Dal lato eminentemente interno, le stragi di Parigi mostrano un allarmante problema di integrazione non degli immigrati, bensì delle seconde e terze generazioni di immigrati, ovvero di cittadini cresciuti e pasciuti all’interno del nuovo tessuto sociale. In alcuni casi, i figli, anziché emanciparsi definitivamente in favore delle libertà occidentali, son tornati alle tradizioni della cultura genitrice, radicalizzando quegli aspetti che maggiormente creano un’identità altra rispetto alla società in cui vivono. E in un mondo atomizzato, in balia delle più disparate ideologie, questa radicalizzazione può facilmente venir assorbita, nel caso particolare, dalla follia jihadista. L’unico illuminante tentativo che ho letto con gusto è stato quello messo in piedi da Emmanuel Carrère (1957) ne "Il Regno", ma forse anche la sua analisi va a parare nell’alibi del nichilismo, travisando il senso di quella rivoluzione morale, poiché parte dall’assunto secondo cui la nostra sia già una civiltà pienamente nichilista. Son passati più di 2.000 anni dall’ultimo dio. È giunta l’ora di crearne uno nuovo.

Emmanuel Carrère (2015), Il Regno, trad. di F. Bergamasco, Adelphi, Milano, pp. 428

giovedì 10 settembre 2015

"Storia di san Cipriano" e "I detti di Rābi'a"


L’ἄσκησις (askesis) rappresenta l’esercizio autarchico, l’addestramento disciplinato, nel nostro caso riferito alla sfera spirituale e/o religiosa. Nel catalogo adelphiano troviamo due figure di asceti, una cristiana, l’altra islamica: Tascio Cecilio Cipriano (210-258), vescovo cartaginese convertitosi al cristanesimo dopo aver profondamente operato nel mondo pagano, e Rābi’a al-‘Adawiyya (713-801), liberta musulmana considerata una delle più importanti figure del sufismo. Entrambi questi santi arabi si son lasciati dietro - com’era lecito attendersi - uno sciame di leggende, superstizioni e raccomandazioni. Cipriano ci viene raccontato dall’imperatrice Eudocia Augusta (401-460) come un pagano esaltato, esperto in pratiche diaboliche e per questo vicinissimo a Satana, la cui magica conversione avverrà per mano di una santa donna, Giustina. Potete ben capire come una leggenda costruita sugli elementi del diavolo come peccato, del pentimento come ravvedimento e della fede per mezzo di una donna, abbia provocato una vasta eco nel mondo barbaro: ed è proprio così che ci appare il misticismo di Cipriano. D’altro canto abbiamo Rābi’a, i cui detti sono stati tradotti per la prima volta in italiano da Caterina Valdrè e comprendono le fonti più disparate (persino vaticane). Nell’ascesi di questa santa sufi vi sono sorprendenti elementi di comunanza col cristianesimo, anche se un’affermazione del genere rischia di passare, alle orecchie degli islamisti (studiosi di islam), per una vera e propria bestemmia. Ma il sufismo, che Alessandro Bausani (1921-1988) riteneva colpevole di aver causato il declino dell’islam, rappresenta il lato più bello della religione musulmana, in quanto ne è la sua emanazione filosofica. Rābi’a ama Dio e al contempo Ne è terrorizzata: nella sua vita non c’è nient’altro all’infuori di Lui tanto che la morte sarà l'agognato ritorno presso il Signore. Al pari, Cipriano vivrà la sua fede cristiana con altrettanta enfasi, tanto da portarlo al martirio, in un mondo talmente pagano dove il solo nominare Dio equivaleva ad un atto di estremo, sfavillante coraggio.

Eudocia Augusta (2006), Storia di san Cipriano, a cura di C. Bevegni, Adelphi, Milano, pp. 207
Caterina Valdrè (a cura di) (1979), I detti di Rābi’a, Adelphi, Milano, pp. 102


lunedì 8 giugno 2015

"Il Demiurgo" e "Gli stati molteplici dell'essere"


La figura mitologica del Demiurgo fu introdotta nel pensiero occidentale da Platone, fondamentalmente per risolvere una questione ontologica: chi dà forma al mondo? Nei saggi di René Guénon (1886-1951) compresi nell’arco temporale che va dal 1909 al 1950, tutti molto omogenei e coerenti, l’esoterista francese rimette la figura divina dell’artigiano al suo posto, ovvero come mediazione tra il genere umano, l’Adam Kadmon, e le sfere celesti, l’Iperuranio, Dio. Ma nella gnostica ricerca della verità integrale una e una sola, indivisibile, monoteista si imbatte anche nel mormonismo e nella reincarnazione, entrambi sagacemente condannati dal nostro con l'accusa di spiritismo o, peggio, psichismo. Sul consueto percorso intellettuale di Guénon si intrecciano dunque le vie spirituali di tutte le religioni del mondo, e di nuovo torna preponderante il concetto di spirito - già espresso con magniloquenza nel capolavoro de "Il Re del Mondo" (Adelphi, 1977) - cui Guénon affianca il πνεύμα (pneumagreco e lo yogi indù. Ma in questa preziosa raccolta vi sono anche affascinanti teorie numerologiche e cosmogoniche, nonché un’aperta critica alla società contemporanea, accusata di esser diventata il regno della scienza profana, che ha rinnegato le dottrine tradizionali in favore di un involgarimento delle conoscenze scientifiche, ha appiattito la cultura per inseguire il modello dell’istruzione pubblica a scapito dell’insegnamento elitario, una società che insomma ha sacrificato la qualità sull’altare della quantità. Come dargli torto? Ciononostante i saggi contenuti ne "Il Demiurgo", e maggiormente "Gli stati molteplici dell'essere" (1932), sono stati aspramente criticati nel corso dei decenni; i detrattori di René Guénon lo hanno accusato di aver fornito prove scientifiche troppo evanescenti per sorreggere le sue teorie, oppure di aver inseguito un modello religioso acefalo che non includesse l’elemento rivoluzionario rappresentato dall’avvento del Cristo, od ancora di aver proposto soluzioni errate per le pratiche di iniziazione, infine di apostasia per aver rinnegato il cattolicesimo in favore del sufismo. Recepita o biasimata, l’opera chiarificatrice di Guénon è comunque importantissima perché rappresenta un ponte tra le diverse anime della spiritualità terrestre, un ponte che, ieri come oggi, si pone come mezzo di comprensione dell’altro e di pacifica convivenza tra tutte le popolazioni.

René Guénon (2007), Il Demiurgo e altri saggi, trad. di G. Cillario, Adelphi, Milano, pp. 313
René Guénon (1996), Gli stati molteplici dell'essere, trad. di L. Pellizzi, Adelphi, Milano, pp. 148