lunedì 18 maggio 2015

"Il grano in erba"


«Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza» cantava Lorenzo il Magnifico ne "Il trionfo di Bacco e Arianna" (1490). La fine improvvisa dell'adolescenza e il conseguente traumatico passaggio all'età adulta, sono temi che hanno attirato l'attenzione di frotte di autori, il più significativo dei quali mi è sempre parso Alberto Moravia (1907-1990) col suo "Agostino" (1944), dove il protagonista diventava uomo in seguito alle avventure amorose della madre. Vent'anni prima del romanzo di Moravia apparve a puntate, sul quotidiano Le Matin, un racconto della disinibita Colette (1873-1954), la cui pubblicazione fu presto interrotta perché avrebbe provocato sdegno e scandalo presso l'opinione pubblica francofona. Vi si narra la storia di due ragazzi, Vinca e Philippe, amici da sempre, che trascorrono le vacanze estive assieme alle rispettive famiglie sulla costa bretone. Quella che agli occhi dei genitori è un'amicizia fraterna, per i nostri due giovani protagonisti è una fattispecie dell'amore, serissima e concreta, pura e razionale. L'elemento di disturbo, che scaraventerà Phil nella maggiore età, è invece rappresentato dalla signora Dalleray, maestra di seduzione e artigianato sessuale. Ma nella relazione puberale/adolescenziale dei due ragazzi è già instillato tanto il germe della gelosia quanto quello della complicità, del contrasto e della competitività, nonché della fedeltà assoluta. La relazione con la donna matura porterà Vinca e Philippe a prendere maggior coscienza del proprio amore, certi ora di poter cominciare davvero una vita insieme. Ne "Il grano in erba" (1923) Colette si sottrae alla vista del lettore, lasciando tutto lo spazio narrativo nelle mani dei due giovani amanti, per i quali gli adulti non sono che ombre, torve e tutte uguali. Implicitamente l'autrice si autoinclude proprio in questo universo di ombre, quasi fosse un penoso interferitore, lasciando soltanto trasparire la malinconia per la fine della sua adolescenza, l'età più bella, quella che non torna indietro, e dopo la quale vivere diventa irrimediabilmente un vuoto a perdere.

Colette (1991), Il grano in erba, trad. di G. Luzzani, Adelphi, Milano, pp. 148


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