lunedì 13 aprile 2015

"Flatlandia" e "Erewhon"


È un racconto fantastico, veramente fantastico, quello messo in piedi dal pedagogo inglese Edwin Abbott Abbott (1838-1926) nello sfavillante anno del Signore 1882. Abbott immagina un mondo a due dimensioni, Flatlandia (Paese del Piano), dal quale il protagonista, un onesto e curioso quadrato, esegue voli pindarici in altri mondi, dimostrando ogni volta come sia difficile immaginarli e quasi impossibile spiegarli. Pointlandia (Paese del Punto), adimensionale, è abitata da un solo cittadino, egli stesso monarca, per il quale nulla è fuori di sé. A Linelandia (Paese della Linea) vivono individui a forma di linea, che su linee si muovono ed amano. Ma al di sopra della Flatlandia c’è Spacelandia (Paese dello Spazio), dove sfere e cubi arroganti e permalosi, dall’alto delle tre dimensioni, credono il loro mondo essere l’universo più perfetto. È a questo punto che il nostro quadrato ipotizza, sulla base di legittime analogie, l’esistenza di una quarta dimensione, ipotesi foriera di elucubrazioni scientifiche e fantascientifiche, e che comunque porterà davvero alle ricerche einsteiniane nel campo della relatività e dello spazio-tempo. "Flatlandia" è un libro aritmetico e meraviglioso, istruttivo per i ragazzi, avvincente per gli adulti, mitologico per i matematici, una di quelle gemme rare e preziose che solo Adelphi poteva ricacciare dall’oblio dell’Ottocento, al pari del suo autore, questo Edwin A. Abbott che in vita si occupò perlopiù di pedagogia e teologia. "Flatlandia" può d'altronde essere interpretato come una critica all’epoca vittoriana, tesa al raggiungimento dell’equità, nel superamento delle divisioni di genere e di ceto, proprio come intese fare il suo illustre predecessore "Erewhon" (1872) del grande Samuel Butler (1835-1902); può inoltre essere un invito alla trascendenza, a partire dal refrain «verso l'Alto, non verso il Nord», formula utilizzata dal quadrato per tentare di spiegare l'esistenza di altri mondi, superiori e inintelligibili. D'altronde, nel mondo erewhoniano c'è il sovvertimento totale di ogni valore o categoria morale: ciò che è storpio è colpevole, l'irragionevole è logico, ma la colpa è virtù, dunque quel che è il premio ne diventa la pena. Il mondo ritratto da Butler - che può rassomigliare ai panorami de "Lo Hobbit" (1937; Adelphi, 1973) di J.R.R. Tolkien (1892-1973) - non è sospeso in un sogno, come la Flatlandia, bensì si fa luogo concreto, ipotizzabile, quasi auspicabile, se pensiamo al rigore della società vittoriana del tempo, come già anticipato incline a restaurare tanto il principio d'autorità del clero quanto l'importanza di ordine sociale di distinguere il popolo dall'aristocrazia.

Edwin A. Abbott (1966), Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni, trad. di M. D’Amico, Adelphi, Milano, pp. 166
Samuel Butler (1975), Erewhon, trad. di L. Drudi Demby, Adelphi, Milano, pp. 237


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