martedì 28 aprile 2015

"Il più grande uomo scimmia del Pleistocene"


Un’affiatata orda subumana è quella messa in scena dallo scrittore e giornalista inglese Roy Lewis (1913-1996) nel suo sfolgorante e ignoto capolavoro "Il più grande uomo scimmia del Pleistocene" (1960), nel quale, col caratteristico piglio umoristico britannico, vengono abbozzate tutte le virtù e le meschinità dell’essere umano, identiche e reiterate fin dalla notte dei tempi. Lewis immagina una famiglia preistorica piccolo-borghese - che scorrazza tra l’Uganda, il Malawi e il Kilimangiaro - alle prese con le più importanti rivoluzioni tecnologiche del tempo, una su tutte: la scoperta del fuoco. Il padre illuminato e amante della scienza che viene via via sopraffatto dai figli non fa che mostrare la preponderanza dell’utile commerciale sulla condivisione della conoscenza scientifica e, al contempo, dimostrare l’avidità e la sete di potere insite in ogni essere (sub)umano. Eppure nel libro si ride molto, tanto che le pagine scivolano in rapida successione; fermo restando che, ad ogni sorriso, corrisponde un’analogia col presente, con ogni presente della storia: i rapporti uomo/donna e l’invenzione del matrimonio, l’inutilità dell’arte agli occhi della massa bruta, la malizia e la strategia, la ricerca di una fonte di dominio sugli altri mascherata da divinazione o da magia, l’imperdonabile errore di qualsiasi oscurantismo come l’importanza del progresso e della preveggenza, col relativo rischio di scadimento nella logica del profitto personale. Questa divertentissima vicenda pleistocenica è dunque metastorica: Roy Lewis non ha fatto che raccontare l’umanità d’ogni tempo e d’ogni dove, e, utilizzando gli esseri umani forse più autentici - i preistorici, senza storia né memoria - ne ha messo in evidenza tanto la tensione verso una vita migliore quanto l’inclinazione alla sopraffazione e alla soverchieria; prioprio come la tragica vicenda di Caino e Abele insegnava agli uomini, senza ombra di humour, che gli uomini, pur fatti a immagine e somiglianza di Dio, son sempre pronti a scannarsi a vicenda, per calcolo e per se stessi, non certo per sopravvivenza o per i propri simili.

Roy Lewis (1992), Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, trad. di C. Brera, Adelphi, Milano, pp. 178

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