venerdì 3 aprile 2015

"Pensieri del tè"


Guido Ceronetti (1927) è un intelletto quantomai eclettico, una vera e propria eccellenza - scusate il sostantivo abusato! - del pensiero italico. Occupato su più fronti, dalla critica alla poesia, passando per filosofia e teatro, lo scrittore torinese è da sempre affezionato all’abitudine di una buona tazza di tè cinese, una al mattino, una al pomeriggio: momenti personalissimi che lo estraniano dalla realtà circostante e gli permettono di girovagare, da perfetto apolide culturale, nei più reconditi anfratti del sé e della coscienza, nonché dell’attualità, della letteratura, della storia e della religione. Ecco, molti di questi spunti sono racchiusi frammentariamente o aforisticamente nei "Pensieri del tè", libello che tratta dell’Enola Gay e di Israele, di donne e comunismo, di Hitler e Mussolini, di Walter Rathenau (1867-1922) e Ceronetti. Ognuno troverà qualcosa di illuminante in queste poche pagine: il senso del collaborazionismo del generale Philippe Pétain a partire dal lemma originario Zusammenarbeit; la Russia tradita dalla rivoluzione bolscevica; l’intento salvifico che accomuna cristiani e comunisti; la visione dell’Ātman da parte di Bernadette Soubirous (1844-1879); la perduta estetica del mondo; la contraddizione teologica spinoziana; la mancata integrazione di Trieste nel tessuto politico italiano; la pace che, fattasi ideologia, è più pericolosa e banale della guerra; l’America senz’anima; e poi troviamo Carl Gustav Jung (1875-1961), Alessandro Manzoni (1785-1873), Céline (1894-1961), Julien Benda (1867-1956), Kostas Papaioannou (1921-1981). Guido Ceronetti possiede idee bellissime ed originali, e utilizza un vocabolario impressionante, che rende piacevole e sorprendente lo scorrimento delle pagine. «L’uomo beve il tè perché lo angoscia l’uomo. Il tè beve l’uomo, l’erba più amara». Più che amara, infestante; più che tè, gramigna.

Guido Ceronetti (1987), Pensieri del tè, Adelphi, Milano, pp. 112


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