lunedì 14 settembre 2015

"Vita di Enrico Ibsen"


Alberto Savinio (1891-1952) immagina il femminismo come un traforo del Sempione, ovvero come una montagna che venga scavata da versanti opposti da due correnti uguali e convergenti - le donne femministe e gli uomini femministi - e che questi infine si incontrino a metà strada, nel centro della montagna stessa. Nel 1943 il femminismo saviniano non è quello sessantottino e post-sessantottino, non è la mera ribellione del corpo donnesco a nuove e più aperte abitudini sessuali, non proviene dagli ambienti omosessuali e non c’entra assolutamente nulla con le rivendicazioni sessuali di qualche donna borderline. Alberto Savinio sostiene che il femminismo è un sentimento che appartiene all’uomo - nell’accezione del Mensch - poiché da una parte il maschio deve ridurre la propria quota di tirannia e di vassallaggio nei confronti della donna, e dall’altra la femmina deve rompere quello schiavismo che la relega a semplice soddisfacimento materiale dell’uomo. Spesso mi accusano di essere maschilista quando biasimo la donna facile, l’incontro di una sera, la prestazione sessuale svogliata e superficiale; chi non mi ritiene maschilista, al contrario, mi etichetta come un patetico romantico. In realtà nutro un gran rispetto per la Donna, tanto da non sopportare di vederla all’attuale stato animalesco. In quello saviniano ho ritrovato dunque il mio femminismo, ovvero distruggere il maschio che è in me, senza per questo intaccare la virilità. La domanda che sorge spontanea è: ma cosa c’entra il femminismo con la "Vita di Enrico Ibsen"? Solo leggendo il libro, potrete capire le iperboli mentali di Savinio.

Alberto Savinio (1979), Vita di Enrico Ibsen, Adelphi, Milano, pp. 90

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