mercoledì 18 febbraio 2015

"Il principio maggioritario"


Tutte le democrazie basano la legittimità su un principio tanto semplice quanto innaturale: il principio maggioritario. I più vincono sui meno, la parte maggiore decide anche per quella minore, sostituendo in un sol colpo l’istituto dell’unanimità, unica e più naturale via per il vivere comune. In realtà il principio maggioritario è passato nei secoli attraverso molteplici peripezie, dalle πόλεις (polisgreche alla romanità, dal Medioevo germanico alla riforma luterana, fino ad arrivare ai giorni nostri come un figlio spurio del parlamentarismo inglese e della formula federativa elvetica. Come contraltare, il principio maggioritario deve quindi includere anche il dissenso, ovvero il principio minoritario. Far sì che la maggioranza abbia ragione e governi non significa certo attribuire un valore di giustezza, equità e bontà alla sua ragione. Significa semplicemente constatare empiricamente la presenza, all’interno di un’unità, di una parte numericamente più sostanzionsa della restante. Questo è perlomeno ciò che il giurista Edoardo Ruffini (1901-1983), orgoglioso antifascista, articolò nel suo coinvolgente libro del 1927 "Il principio maggioritario". Con più malizia ci si accorge che il principio maggioritario è coercitivo sin dalla nostra venuta al mondo in quanto esseri umani. Cos’è infatti che obbliga un nascituro a sottostare alle regole dello status quo? La risposta democratica sta nell’implicita accettazione del contratto democratico che la maggioranza già vivente ha stipulato con lo Stato. È facile comprendere come questa sia una scorciatoia al problema e come sia facilmente attaccabile dai sostenitori del principio minoritario. La democrazia, al pari di qualsiasi regime statale, non accetta la fuoriuscita da essa se non bandendo il cittadino che dimostra di non sottostare alla legge della maggioranza. Essere banditi può quindi assumere il senso di un profondo rifiuto dei mezzi con cui il governo democratico governa il proprio paese. Di tutti i sistemi di governo la democrazia è certamente quello più accettabile, perché perlomeno si avvicina - ma non tende - all’unanimità. Resta intatto dunque il consiglio di non trattare il principio maggioritario come una taumaturgia, attribuendogli poteri miracolosi o, peggio, riconoscendogli prodigi di bene ed utilità per il fine ultimo della collettività.

Edoardo Ruffini (1976), Il principio maggioritario. Profilo storico, Adelphi, Milano, pp. 139

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