venerdì 13 febbraio 2015

"L'uomo della novità" e "Tesi per la fine del problema di Dio"


C’è stato un momento nella storia italiana in cui, contemporaneamente alla rinascita democratica, è stato possibile un rinnovamento religioso del nostro popolo. Ci riferiamo al tentativo di Ferdinando Tartaglia (1916-1987) - prete cattolico scomunicato a divinis - di riformare, subito dopo la seconda guerra mondiale, la Chiesa di Roma attraverso una profonda trasformazione morale, che andava dalla ritrovata purezza della religione all’emancipazione della donna, in una sorta di religione letteraria che attingeva da Marcel Proust e Gabriele D’Annunzio, Cecco Angiolieri e Baruch Spinoza, Giovanni Pascoli e Nikolaj Berdjaev, Aldo Capitini e Charles Lamb, creando un acceso dibattito negli ambienti intellettualmente più focosi del tempo, riuscendo persino a metter d’accordo fascisti, democristiani, anarchici e comunisti (vedi "Tesi per la fine del problema di Dio", 1949). Tartaglia era in grado di miscelare l’indeterminatezza delle filosofie e delle religioni orientali - il buddismo su tutte - con l’austera liturgia delle confessioni europee, riuscendo, agli occhi degli stolti, al massimo come un protestante, un calvinista, un nuovo Martin Lutero. Nel bel libro di Giulio Cattaneo (1925-2010) - il cui titolo, "L'uomo della novità", racchiude sommamente l’avvento della rivoluzione - il pensiero tartagliano, spesso vicino al Tao, appare assai sfuggente per venir codificato dalle masse, a quel tempo troppo indaffarate a vestire casacche partitiche opposte e a spartirsi la torta ideologica del dopoguerra. L’ammutolimento delle opposizioni deciso dal ventennio mussoliniano aveva provocato, sin dal 1948, un’accesa competizione in un paese affamato di politica eppur così politicamente immaturo. La riforma religiosa di Tartaglia arrivava dunque in un momento intellettualmente vivo, fin troppo vivo per una trasmigrazione di valori religiosi. Fu però un atavico bigottismo, di stampo tipicamente cattolico, a suggellare la fine dell’utopia di Tartaglia con l’etichetta di eretico. È su alcune riviste conservatrici che si cominciò ad utilizzare il neologismo tartagliare, come di qualcuno che parla a sproposito, senza senno. E nel 1960, in uno degli ultimi dibattiti pubblici, l’eretico Ferdinando affermò: «Tartaglia è il nome di una maschera: maschera tace e fugge, per eco ed eco di teatro». Fu così che la sua meteora si spense, e di conseguenza morì il sogno di un rinnovato cristianesimo fatto di spirito e non di materia.

Giulio Cattaneo (2002), L’uomo della novità, Adelphi, Milano, pp. 119
Ferdinando Tartaglia (2002), Tesi per la fine del problema di Dio, Adelphi, Milano, pp. 160


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