giovedì 26 marzo 2015

"Divorzio a Buda" e "Le braci"


Sándor Márai (1900-1989) è un romanziere di gran classe, ancor oggi non apprezzato appieno dal grande pubblico. Testimone della disgregazione dell’Impero austro-ungarico, poi esule slovacco negli Stati Uniti e quindi fortemente critico verso il socialismo reale ungherese - che pure rappresentava uno sprazzo di luce all’interno del plumbeo firmamento del Patto di Varsavia - Márai ha sempre rivendicato, implicitamente in tutta la sua opera, il ruolo di artista borghese, al pari di Georges Simenon (1903-1989), rappresentanti d’una borghesia finemente autocritica, quindi tutt’altro che piccola. Nel "Divorzio a Buda" (1935), ambientato proprio nella capitale magiara, tra i vicoletti della città vecchia di Buda e i mondani boulevard di Pest, l’autore racconta l’irruzione dell’elemento imprevisto nella vita di un irreprensibile magistrato. Buona parte del libro è spesa nella descrizione dei personaggi, dalle radici anagrafiche alla quotidianità, facendo emergere tutta la giustezza e la fragilità della società borghese, fondata proprio sulla famiglia tradizionale e sull’onesto lavoro. L’orgogliosa proclamazione della borghesia e, al contempo, l’accanita disamina delle manchevolezze intellettuali di questa classe, rappresentano forse la sostanza del pensiero di Márai; e questa dicotomia è tragicamente rinvenibile nelle pagine del suo diario, "L’ultimo dono" (Adelphi 2009). Ma il nodo della vicenda qui narrata verrà sciolto solo nelle ultime cinquanta pagine, in un climax dialogico che vede contrapposti il protagonista, Kristóf Kőmíves il giudice, e il suo amico d’infanzia Imre Greiner, intenti di notte a ripercorrere tutti i crocevia che han portato la vita sentimentale di quest’ultimo al naufragio e al delitto. La struttura del romanzo precede a piè pari quella del capolavoro "Le braci" (1942), tanto che i giudizi più sprezzanti mossi al “Divorzio a Buda” lo inseriscono in una cornice preparatoria al più fortunato romanzo del 1942. La verità è che se Sándor Márai non avesse dato alle stampe "Le braci", sarebbe questo il romanzo culminante della sua carriera. Resta tuttavia intatta la lucentezza dello stile compositivo di questo autore mitteleuropeo, quasi parossistico nell’analisi psicologica e antropologica dei suoi personaggi, siano essi poveri o ricchi, vittime o carnefici, umili o nobili, amati o traditi, e dal "Divorzio a Buda" la forma familiare emerge come la più preminente e delicata cellula di convivenza civile, perlomeno l’unica in grado di assicurare un barlume di futuro alla società.

Sándor Márai (2002), Divorzio a Buda, trad. di L. Sgarioto, Adelphi, Milano, pp. 200
Sándor Márai (1998), Le braci, trad. di M. D'Alessandro, Adelphi, Milano, pp. 181


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