martedì 17 marzo 2015

"Sommario di decomposizione"


È odioso il modo con cui alcuni moderni sociologi, giornalisti e analisti dell’attualità definiscono le nuove generazioni, usando il termine nichilismo per tutta un’altra cosa. Quando si parla dell’attuale civiltà si deve fare molta attenzione alla grossa differenza che intercorre tra il nil e il nihil, il primo contrazione del secondo. La civiltà occidentale, irreligiosa, satura di piaceri, viziata ben oltre il benessere, gonfia di false aspettative e speranze, è una civiltà del nil, non del nihil. Ogni desiderio è portato al suo innaturale sfiancamento. Gli uomini e le donne che la abitano hanno smesso il proprio ruolo di esseri pensanti - anzi di attori, derivando da agere - per indossare la torva maschera della décadence. Inutile aggiungere come il nichilismo - quella genuina ed aristocratica tendenza all’annullamento del proprio sé di cui stiamo ancora aspettando l’avvento in società - profetizzi il Nulla, piuttosto del niente. Il niente è un vuoto, un’assenza, una svogliatezza, una negligenza, una lenta e maleodorante decomposizione; esso è mediocre, arido e desertico. Molto diversa la questione sul Nulla. Nel libero spirito di Emil Cioran (1911-1995) i concetti di Nulla e Tutto si equivalgono, collimano perfettamente, hanno la medesima valenza ben oltre lo svuotamento nietzschiano della volontà di potenza. E poi la sofferenza, che attanaglia l’intero corso di ogni esistenza: subirla significa tribolare, superarla non vivere. Cioran invece ci si crogiola nella sofferenza, il suo è un animo per niente ozioso o rinsecchito, né tantomeno avaro; la sua condizione di assoluta libertà è confermata dal nulla in cui crede. Che è poi lo stesso nulla di Dio. Il sé non ha più una storia precedente che lo condiziona, ne è anzi slegato, ne è fabbro. Il nichilismo è forse questo: la giubilante parata dell’homo faber, inutilmente portata ai destini della cultura dalla figura di Giordano Bruno. Dunque il Nulla nichilistico non è una prigionia ma una liberazione, non un asservimento ma un’affrancamento dalla circostante obliquità del reale, del visibile. Ingannevole s’è rivelato il mito della materia. Nel "Sommario di decomposizione" (1949), praticamente ignorato in patria, gli individui sono rimasti gli stessi di sempre: codardi ed impauriti di fronte alla vita, immorali - non amorali - verso la morte, invigliacchiti ancor di più dallo sfilacciamento delle religioni secolari che stanno ancora cercando il modo di sopravvivere alla rutilante modernità, come una patetica mosca cieca. Ma non è ridicolo che ancor oggi Dio debba cercare compromessi con la contemporaneità? Non dovrebbe esser classico il Suo pensiero? Trovare una risposta a questa domanda equivale forse a preconizzare la vera nascita del nichilismo. E forse, nel medesimo istante, la sua fine. Il Novecento doveva in fondo essere il secolo del nichilismo. Qualcuno ci sperava, qualcun altro no, fatto sta che il nichilismo non s’è visto. Lo si è studiato, analizzato, approfondito, frammischiato, ma non si è trasformato in vita. Al suo posto il niente. Niente di niente.

E.M. Cioran (1996), Sommario di decomposizione, trad. di M.A. Rigoni & T. Turolla, Adelphi, Milano, pp. 229


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