martedì 9 giugno 2015

"Visita a Rousseau e a Voltaire"


Ogni giornalista che si cimenti nel confronto diretto con un interlocutore illustre ha dinanzi a sé due alternative: la malizia e la ruffianeria. La prima porta l’intervistatore ad essere curioso, ai limiti della morbosità, più spesso duro e intransigente, facendo diventare l’intervista una sorta di interrogatorio; la ruffianeria è invece l’atteggiamento tipico di colui che si prostra dinanzi alla controparte, risultando oltremodo accomodante, servile, fatalmente gentile e benevolo, tanto da non poter mai aspirare alla condizione di cronista d’assalto. Tra Frost e Fazio vi sono ovviamente molteplici gradazioni di grigio. Ma poi ci imbattiamo in un giornalista ante litteram come James Boswell (1740-1795), una specie di falso nobile che, frequentando le migliori menti della sua epoca, spera di addivenire anch’egli ad una qualche illuminazione. Tra il 1763 e il 1765 si reca in Svizzera con l’intento di incontrare Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) e Voltaire (1694-1778) ed effettivamente ci riesce. È tanta la ruffianeria di Boswell che nulla gli è precluso, anche se ben presto verrà accerchiato da battute irriverenti, quasi deriso per via della sua scarsa antichità; va detto che per esser nobili non basta il blasone, ma di certo non è colpa del povero scozzese se porta un nome barbaro come tanti altri. Fatto sta che i due grandi illuministi (il primo un po’ meno), per natura un po’ altezzosi, mostrano un certo ghigno snob - vanità più che vanitas. Gli incontri a due di James Boswell rappresentano comunque una interessante intrusione nelle vite e nei pensieri privati di questi due immensi intellettuali: mitezza e santità racchiuse in un sol volto. Alla fine ce lo immaginiamo Boswell a riflettere sulla propria condizione: a star con i migliori ha guadagnato little or nothing!

James Boswell (1973), Visita a Rousseau e a Voltaire, a cura di B. Fonzi, Adelphi, Milano, pp. 122


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