venerdì 24 luglio 2015

"L'uomo che amava i bambini"


Leggevo "L’uomo che amava i bambini" (1940) di Christina Stead (1902-1983) quando a pagina 75 mi sono imbattuto nella seguente affermazione del protagonista Samuel, puritano ed utopista capofamiglia dei Pollit: «Forse già il piccolo Tomtom potrà vedere il tempo in cui saranno finite le ultime guerre e ci saranno gli Stati Uniti d’Europa e gli uomini non saranno più nascosti agli uomini loro fratelli da quella nube d’incomprensione generata dall’odio». In questo frammento è praticamente sintetizzata la Paneuropa del conte Coudenhove-Kalergi (1894-1972) idealizzata a partire dal 1922. Quasi un secolo dopo gli osservatori più attenti avvertono l’esigenza di un’Europa forte, coesa ed efficiente per far fronte alle sfide della crisi economica e per tener testa, in campo internazionale, alla costante emersione di nuovi colossi come Cina, India e Brasile. Ora più che mai preme affermare che la crisi che dal 2008 attanaglia l’Europa - la Grecia in particolare - sarà uno dei più importanti spartiacque nella storia dell’integrazione europea. La condizione sociale globale in cui uscirà l’UE da questa depressione della produzione e dell’occupazione sarà la miccia della sua disgregazione o della sua definitiva legittimazione. Sopravvivere uniti alla crisi significa legittimare l’euro come valuta forte ed attrarre contemporaneamente stati che sinora hanno utilizzato nei suoi confronti una politica attendista: Regno Unito, Svezia e Danimarca. Accanto alla questione puramente tecnocratica, sono ugualmente convinto che l’Europa debba finalmente compiere quel salto di qualità che troppo a lungo è stato rimandato: federarsi. Prendendo in prestito, con scarsa creatività, la definizione di Stati Uniti d’Europa, voglio qui sottolineare come il progetto federale sia rimasto l’unica via percorribile dai ventotto Membri per sopravvivere nel mondo odierno e per tornare al centro della vita politica, economica e culturale internazionale. Federazione che non rappresenta una semplice delega della propria sovranità ad istituzioni sovranazionali, bensì uno sforzo comune, certamente artificiale, affinché i cittadini di tutti i Paesi dell’Europa diventino finalmente cittadini europei. Portata a compimento l’unione monetaria bisogna quindi correre verso il traguardo dell’unione economica, per poter completare l’iter con l’unione federale. Ed è qui che entra in gioco quella ramificazione della società civile tanto biasimata: la politica, come polis ethica. Bisogna ovvero capire se le attuali leadership statali siano convinte dell’artificio federale e soprattutto quali e quante competenze abbiano per concretarlo. Mi viene dunque in mente, accanto a quella del già citato conte austriaco, la figura di Altiero Spinelli (1907-1986), federalista radicale dal passato comunista, precursore di quanto detto sinora, un politico colto e onesto, progettista appassionato dell’Europa. A chi possiamo affidare oggi il ruolo che fu di Spinelli? Infine, per quanto riguarda il suddetto libro, l'ho trovato tragico, difettoso, commovente, lento, bellissimo.

Christina Stead (2004), L’uomo che amava i bambini, trad. di F. Bossi, Adelphi, Milano, pp. 561

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