lunedì 3 agosto 2015

"L'eredità di Eszter" e "Il gabbiano"


Lo stile è il distintivo di ogni artista. Esso è la forma che ricopre il contenuto. Più rare volte ne è il contenuto stesso, come se l’eleganza del tratto, l’istinto del gesto, l’artigianalità del vestito fossero imprescindibili dall’autore che, all’infuori dello stile, non potrebbe e non riuscirebbe a vivere e lavorare. Quello di Sándor Márai (1900-1989) è peculiare a lui solo, nella delicatezza delle forme letterarie e delle tematiche affrontate. Le trame che predilige prendono sempre il largo da un lungo dialogo fra due protagonisti per poi snodarsi attraverso ricordi, reperti, ritorni e speranze, spesso disilluse dalla velocità e caducità del quotidiano. Nei libri qui recensiti abbiamo due vecchi amori ritrovati, entrambi non corrisposti o corrisposti a metà. Il primo, quello della sensibile Eszter per Lajos, un irresistibile millantatore che ha ridotto in miseria la famiglia della donna e che torna per prendersi quel poco che resta; l’altro, quello di un alto consigliere di stato, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, per la finlandese Aino, che gli fa tornare alla mente Ilona, il grande amore, morta suicida anni addietro. "L’eredità di Eszter" (1939) è un romanzo meraviglioso, soave, indipendente, un gioiellino che va posto sul medesimo ripiano dei grandi classici maraiani, tra la perfezione di "Divorzio a Buda" (Adelphi, 2002) e la magnificenza de "Le braci" (Adelphi, 1998); "Il gabbiano" (1948), certamente meno brillante, si pone come romanzo minore, forse perché troppo surreale, una sorta di esercizio di defaticamento dopo i migliori anni della produzione di capolavori. L’estetica borghese di Márai, nitida ed indiscutibile, avvolge il lettore nelle spire di amori che non sembrava potessero aver ostacoli di fronte a sé, e che invece non sono mai esplosi nel firmamento dei grandi sentimenti: Eszter che rinuncia a Lajos per questioni familiari e il severo consigliere di stato che si scioglie di fronte ai rimasugli di un antico inglorioso amore. Dicevamo in apertura che lo stile è spesso la sostanza dell’artista, che ne rappresenta l’esistenza stessa. Cosa dire allora di Sándor Márai, l’esule ungherese che, dopo aver scritto pagine indimenticabili, oramai invecchiato, all’indomani della morte dell’amata moglie, finirà suicida con un colpo di pistola? È forse questo l’elemento probante che gli conferisce il carattere di uomo autentico, di grande, integro e sontuoso stile.

Sándor Márai (1999), L’eredità di Eszter, trad. di G. Bonetti, Adelphi, Milano, pp. 137
Sándor Márai (2011), Il gabbiano, trad. di L. Sgarioto, Adelphi, Milano, pp. 163


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